Secondo un rapporto pubblicato da Goldman Sachs a marzo, il progresso dell’Intelligenza Artificiale (IA) è destinato a causare la perdita di 300 milioni di posti di lavoro in tutto il mondo. L’allarme è stato confermato anche da un’indagine condotta da PwC lo scorso anno, che ha rivelato che quasi un terzo dei partecipanti era preoccupato di essere sostituito da soluzioni tecnologiche entro i prossimi tre anni.
Un recente studio condotto da CNBC ha approfondito la questione, intervistando lavoratori statunitensi per scoprire quanti di loro temono di perdere il proprio lavoro a causa dell’IA. I risultati hanno mostrato che solo il 24% degli intervistati crede che queste nuove tecnologie potrebbero rendere il proprio ruolo obsoleto. Tuttavia, l’indagine ha rivelato che i lavoratori più giovani sono maggiormente preoccupati. Mentre solo il 14% dei lavoratori oltre i 65 anni teme l’IA, la preoccupazione è viva per il 32% dei lavoratori tra i 18 e i 24 anni. Ma non è solo l’età a influenzare il livello di “ansia per l’IA”: la preoccupazione è presente nel 30% dei lavoratori con uno stipendio inferiore a 50.000 dollari all’anno, mentre si abbassa al 16% per i professionisti con uno stipendio superiore a 150.000 dollari.
In Italia, l’associazione Confartigianato ha cercato di capire quanti posti di lavoro sono effettivamente a rischio a causa dell’IA generativa. Secondo lo studio, esiste il rischio di perdere 8,4 milioni di posti di lavoro, con il 36,2% degli italiani direttamente coinvolto nel processo attuale di automazione. Tuttavia, l’Italia non è il Paese europeo più esposto all’avanzare dell’IA: la percentuale sale al 43% in Germania, al 48% in Svezia, al 48,8% in Belgio e addirittura al 59,4% in Lussemburgo, con una media europea del 39,5%.
Ma fino a che punto l’Intelligenza Artificiale è destinata a “rubare” il lavoro alle persone, facendo una valutazione della situazione attuale?
Secondo Carola Adami, co-fondatrice di Adami & Associati, società specializzata in ricerca e selezione di talenti per imprese italiane e internazionali, le aziende aperte all’innovazione e proattive sono già consapevoli di quanto l’IA possa essere preziosa per velocizzare i processi, ridurre gli errori e aumentare la produttività. Tuttavia, è importante considerare l’IA non come un fine a se stesso, ma come uno strumento che ha valore solo se utilizzato in modo oculato per valorizzare le capacità, l’esperienza e la creatività dei lavoratori, ovvero degli esseri umani. Sarebbe quindi un errore affermare che le nuove tecnologie renderanno obsoleti determinati ruoli di lavoro. L’IA potrà eliminare alcuni impieghi, ma allo stesso tempo ne creerà altri, favorendo un aumento complessivo della produttività.
Il Future of Jobs Report del World Economic Forum prevede infatti che entro il 2025 le macchine dotate di IA sostituiranno 85 milioni di posti di lavoro, ma allo stesso tempo ne creeranno 97 di nuovi. Quindi, l’IA può portare grandi vantaggi alle imprese e ai lavoratori, rendendoli più efficienti, produttivi, sicuri e meno annoiati. Tuttavia, tutto ciò sarà possibile solo se si possiedono le competenze appropriate per sfruttare al meglio l’IA, e al momento sono ancora pochi coloro che soddisfano questo requisito.
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