OpenAI è stata accusata da alcuni autori nordamericani di aver violato il diritto d’autore dei loro libri, utilizzandoli per addestrare il suo modello ChatGPT, capace di generare testi in diversi linguaggi e stili. Gli autori hanno presentato due cause collettive contro OpenAI, chiedendo un risarcimento per i danni subiti e il blocco dell’utilizzo delle loro opere.
Tuttavia, OpenAI non si è lasciata intimorire dalle accuse e ha presentato una mozione per respingerle in entrambe le cause, con l’eccezione di una richiesta specifica riguardante la violazione diretta del diritto d’autore. OpenAI sostiene che le accuse degli autori sono infondate e basate su una comprensione errata del diritto d’autore e del suo ruolo nell’intelligenza artificiale.
OpenAI spiega che il suo obiettivo non è quello di copiare o distribuire le opere degli autori, ma di insegnare al suo modello ChatGPT a comprendere le regole alla base del linguaggio umano. Per fare questo, OpenAI utilizza le opere degli autori come fonte di informazioni statistiche, come le frequenze delle parole o i modelli sintattici, che non sono protette dal diritto d’autore. OpenAI afferma che questo uso rientra nelle limitazioni e nelle eccezioni previste dalla legge, come l’uso equo o l’uso trasformativo, che consentono l’utilizzo legittimo di materiale protetto per scopi di ricerca, insegnamento o critica.
OpenAI fa riferimento a un precedente relativo a Google Books, in cui Google ha creato copie digitali di milioni di libri per creare un servizio di ricerca e visualizzazione. In quel caso, la corte ha stabilito che Google non aveva violato il diritto d’autore degli autori, poiché le copie create erano necessarie per lo sviluppo di un nuovo prodotto non violativo e non erano accessibili al pubblico. OpenAI sostiene che il suo caso è simile, poiché le copie dei libri utilizzate per addestrare ChatGPT non vengono distribuite o divulgate a terzi.
OpenAI contesta anche le accuse di violazione indiretta del diritto d’autore, sostenendo che non ha alcun interesse finanziario diretto nella presunta violazione e che non vi è un legame causale diretto tra la violazione e i profitti di OpenAI. OpenAI ricorda che il suo scopo è quello di promuovere la ricerca sull’intelligenza artificiale e non di trarre profitto dalla distribuzione delle opere protette. Inoltre, OpenAI afferma che non ha alcun controllo o responsabilità sull’uso che i terzi fanno del suo modello ChatGPT.
Gli autori accusano anche OpenAI di aver violato il Digital Millennium Copyright Act (DMCA), quando ChatGPT produce un output che copia le loro opere senza indicare le informazioni di gestione del diritto d’autore (CMI), come i nomi degli autori o l’anno di pubblicazione. Tuttavia, OpenAI respinge queste accuse definendole insufficienti e prive di spiegazioni concrete.
OpenAI sostiene che anche se si ammettesse che gli output di ChatGPT costituiscono opere derivate, il DMCA proibisce solo la rimozione delle CMI quando si distribuiscono opere originali o copie di esse, non la distribuzione delle opere derivate stesse. Inoltre, OpenAI afferma che il suo modello ChatGPT non rimuove o altera le CMI quando produce un output, ma semplicemente genera un output basato sulle informazioni statistiche apprese dalle opere.
In conclusione, OpenAI affronterà le accuse di violazione diretta del diritto d’autore in un secondo momento, lasciando al tribunale la decisione su eventuali riproduzioni e distribuzioni non autorizzate di opere originali o di opere derivate senza modifiche sufficienti da parte del modello ChatGPT. OpenAI si dice fiduciosa di poter dimostrare che il suo modello ChatGPT è in grado di generare output originali e creativi che non sono semplicemente copie delle opere esistenti.
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